venerdì 5 agosto 2016

Abdul-Jeelani: il suo primo allenamento a Livorno



 Tifavo per l’”altra” squadra di Livorno quindi da bambino per me Qadir Abdul-Jeelani (qui erroneamente pensavamo tutti che Abdul fosse il nome sia pure musulmano) era un avversario. Ma ero soprattutto un appassionato di basket e posso dire che nel 1981, quando la Libertas Livorno ritornò in A2, ero al palasport ad assistere, con altre 3.500 persone almeno, al primo allenamento livornese di Abdul-Jeelani. Il primo tiro, casuale, andò dentro e fu accolto da un boato. Era un colpo senza precedenti. Una neopromossa aveva messo le mani su uno dei migliori americani del campionato, uno che aveva giocato nella NBA anche la stagione precedente, a Dallas. Abdul-Jeelani una volta aveva segnato 30 punti in una gara NBA ed era stato l’autore del primo canestro nella storia dei Mavericks. A Portland aveva avuto un anno da 9.4 punti di media. A Dallas, lo chiamavano “Mr. Fourth Quarter”. Era un realizzatore e poteva prendere fuoco in un attimo. Segnò 21 punti contro i Knicks in un quarto periodo. Ma Dallas era una franchigia di espansione e Abdul-Jeelani era un journeyman. Il leggendario Zander Hollander lo descriveva così: “Forse l’avete conosciuto con il nome di Gary Cole, più probabilmente non l’avete conosciuto affatto”. Ma in Italia non era così.

Secondo quanto scritto dal Racine Jounal-Times, la Libertas lo ripotò in Italia dopo il periodo trascorso alla Lazio (due anni) per 750.000 dollari in quattro anni. Ai Mavericks non arrivava a 100.000 dollari. Altri tempi. Era la Libertas ambiziosissima dell’Ingegner Boris e della famiglia D’Alesio. Da neopromossa costruita attorno al talento acerbo ma debordante di Alessandro Fantozzi, con Rudy Hackett come secondo straniero, cavalcò Abdul-Jeelani e volò subito in Serie A1. Aveva gettato le basi della squadra che avrebbe sfiorato lo scudetto. La Libertas ha avuto grandi americani, Wendell Alexis, Kevin Restani – che giocò con Abdul-Jeelani – ma nessuno è stato importante quanto lui.
Aveva un fisico strano: gambe sottilissime, sembrava potessero spezzarsi ad ogni attimo, una vita strettissima ma le spalle larghe e tuttavia i pettorali non erano “riempiti”. Usava una fascia contenitiva, non so a cosa servisse. Avesse un mini afro e quando arrivò a Livorno diventò un eroe per metà città. Ma ci sapeva fare, firmava autografi, sorrideva, si comportava come una star in epoca di social media anche se i social media non esistevano. Aveva una bambina di nome Kareema, bellissima e piccolissima, un figlio grande che aveva messo al mondo quando ancora si chiamava Gary Cole e viveva a Racine nel Wisconsin (in realtà nacque nel Tennessee ma la famiglia si trasferì a Racine quando aveva due anni). Giocò Wisconsin-Parkside, fu terza scelta di Cleveland ma venne tagliato alla vigilia dell’opener. Andò in Svezia, tornò a Detroit ma venne tagliato. Poi la Lazio, due anni oltre i 30 di media. Portland, i draft di espansione e infine Dallas.
Sappiamo tutti che dopo la carriera ha avuto enormi problemi esistenziali, aggravati dal divorzio, la lontananza dai figli, i problemi di salute della madre che ha accudito per nove anni quando le venne amputata una gamba a causa del diabete. E’ stato un senzatetto. Tutto generato dall’abuso di droghe e di alcool. Ha sempre detto di aver ceduto al vizio dopo aver smesso di giocare ma ci sono testimonianze differenti. Non difficili da credere: negli anni ’70 e inizio anni ’80 l’America e la NBA erano così. Lui aveva soldi in tasca e nessuna preoccupazione circa il domani.
Aveva carisma. Un tiro strano, mai corretto giustamente perché efficace. Il gomito largo, larghissimo. Non era esplosivo ma galleggiava in aria, rimaneva lì e tirava quando l’avversario era sceso. Tirava in acrobazia, giocava dentro e fuori, correva lungo il campo, trattava la palla benissimo. Era un realizzatore ma anche un rimbalzista. Era un tiratore ma anche un passatore. Fantozzi e Abdul-Jeelani, una coppia bellissima.
Prima di morire era tornato in ottimi rapporti con i figli, era tornato in Italia come sappiamo, aveva messo un minimo di ordine nella sua vita. Ma la salute era precaria e il morale basso. E’ stato lo stesso uno dei più grandi giocatori di sempre visti in Italia, avanti i suoi anni come gioco e atteggiamento, un giocatore carismatico, con la sua barbetta pronunciata sotto il mento. Grazie di essere esistito.

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