Shaquille O’Neal si era autoproclamato MDE, Most Dominant
Ever, una definizione che si adatta bene al tipo di giocatore che è stato. E’ impossibile
paragonare un centro fisico come lui a giocatori di perimetro. Non sarebbe mai
stato possibile considerarlo il migliore di sempre o anche di una generazione
di giocatori. E’ il destino dei centri e O’Neal era quanto di più puro possa
essere considerato un centro. O’Neal giocava dentro l’area, profondo, e di
fisico, di forza, potenza, anche se poi aveva un discreto gancetto e sapeva
usare bene il tabellone.
Ma è assolutamente vero che Shaq nel periodo in cui è stato
al top della condizione era anche il giocatore che aveva l’impatto maggiore
sulla Lega, che più di ogni altro obbligava gli avversari a cercare risposte
non esistenti. L’Hack-a-Shaq in fondo cos’era se non il supremo riconoscimento
della sua onnipotenza? Non era marcabile, non uno contro uno, non
raddoppiandolo (sapeva passare la palla e leggere il gioco quindi bastava
circondarlo di tiratori), C’era solo un modo: fare fallo e mandarlo in lunetta
perché era come Wilt Chamberlain – il giocatore cui più spesso è stato
paragonato – un pessimo tiratore.
Il suo ingresso nella Hall of Fame, scontato fin dalle sue
prime partite NBA, è convalidato dai numeri, i tre titoli di MVP della Finale
vinti consecutivamente, il quarto titolo conquistato a Miami, la Finale
arrivata molto presto a Orlando. Ma i numeri dicono poco. Nelle tre finali
vinte con i Lakers dal 2000 al 2002, Shaq era virtualmente incontenibile, un
giocatore contro il quale non si poteva fare nulla. Erano gli anni in cui alla
sua straordinaria potenza fisica abbinava una condizione atletica eccellente
(anche se non ha mai toccato il peso minimo che pretendeva Phil Jackson per
allungargli la carriera ai massimi livelli) e il massimo delle motivazioni.
O’Neal entrò nella NBA nel 1992, giocò la prima Finale nel
1995, ma vinse il primo titolo solo nel 2000. E’ certo che avrebbe vinto di più
e prima se fosse rimasto a Orlando. Nel 1996 era ossessionato dall’idea di
massimizzare il proprio personaggio e di doversi trasferire in un grande mercato.
Il suo agente di allora, Leonard Armato, spingeva perché forzasse la mano ai
Magic e spostarlo a Hollywood quando ancora non era nella NBA. Ma i Lakers nel
1996 dovettero smantellare la squadra per averlo. Kobe Bryant era un rookie di
18 anni. O’Neal mosse tre passi indietro abbandonando una squadra che invece
era pronta per vincere anche se divisa dalle rivalità intestine inclusa quella
di Shaq con Penny Hardaway, comunque molto meno significativa di quella
successiva con Kobe Bryant.
Avrebbe potuto dominare più a lungo se fosse stato un
lavoratore superiore, non avesse dopo i tre titoli ridotto l’interesse per la
cura del fisico e per i rimbalzi. Quando ha perso mezzo passo è diventato più
vulnerabile in difesa, coinvolto a ripetizione nei pick and roll per punire la
sua ovvia ritrosia di uscire a difendere. Anche a rimbalzo, non è mai stato
aggressivo come lo era a Orlando nei primi anni di NBA.
Quello che adesso, che ha smesso da cinque anni e finito la
carriera in modo banale, a Boston e Cleveland soprattutto, si fatica a
ricordare è che il giovane O’Neal abbinava alla sua forza muscolare un’agilità,
una velocità impressionanti. Shaq poteva catturare un rimbalzo e correre per il
campo come una guardia. Aveva anche ball-handling. Le prime immagini di lui
fuori del campo ce le proposero come notevole break-dancer. Era agile, veloce
oltre ché forte. Lo è stato fino al primo titolo dei Lakers poi è diventato
sempre più forte e meno agile, dinamico. Nondimeno, nessuno ha dominato nel
senso che ha avuto impatto come lui.
Era anche un grande personaggio, lo è ancora nel suo lavoro televisivo. Parlava con un
filo di voce, ma parlava con tutti. Non si nascondeva dietro lo spogliatoio
come faceva Michael Jordan e poi hanno fatto tutti per mantenere la propria
privacy. Ricordo una Finale NBA in cui aspettava la palla a due guardando un
film sul suo Dvd player. Un operatore televisivo cercò di riprendere lo
schermo. Lui gli risparmiò la fatica. Glielo fece vedere direttamente tra l’ilarità
generale.
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